Oggi parleremo dei cosiddetti bird strike, gli impatti violenti tra un aereo e un uccello (o un intero stormo). Collisioni di questo tipo avvengono da quando l’uomo ha imparato a volare, andando a invadere uno spazio che prima era di esclusiva pertinenza degli uccelli. Si verificano in genere in fase di decollo o di atterraggio e quindi negli aeroporti o in prossimità di essi.
Come si legge nella più recente relazione dell’Enac (l’Ente nazionale per l’aviazione civile), sul tema, “gli uccelli volano generalmente al di sotto dei 500 ft (152 metri) di quota quando non sono in migrazione attiva”. Il fenomeno è in aumento soprattutto per la massiccia crescita del traffico aereo, ma anche per l’incremento di alcune popolazioni di volatili. Infatti In Italia il numero di wildlife strike è passato da 348 nel 2002 a 1.084 nel 2014. E sempre secondo l’Enac, dal 1980 ad oggi la popolazione nidificante di gabbiano reale è più che raddoppiata, superando le 60.000 coppie.
Ad ogni modo i velivoli sono progettati per sopportare questo genere di collisione, tuttavia quando un volatile e un aereo si scontrano, a causa delle elevate velocità e delle masse in gioco l’impatto può provocare danni ingenti, mettendo l’aereo in condizioni di non poter più volare o di volare in condizioni di emergenza. Basti pensare che l’impatto con un uccello di 5 kg a 240 km/h, ossia la velocità di un velivolo in atterraggio, equivale ad un peso di mezza tonnellata fatto cadere da un’altezza di 3 metri.
In genere però è il pennuto ad avere la sorte peggiore: quando finisce risucchiato in un motore, in genere si disintegra, e in molti casi i piloti si accorgono dell’incidente dopo l’atterraggio, con il controllo dei motori. Può accadere però (specie se si impatta con uno stormo) che parte del motore venga piegato o danneggiato, causando una perdita di potenza e mettendo a rischio la sicurezza del volo. Fortunatamente, gli aerei sono progettati per poter atterrare anche con un motore soltanto.
Ringraziamo focus.it per la fonte dell’articolo.